“Le parole sono la nostra massima e inesauribile fonte di magia” insegnava il saggio Professor Silente al maghetto Harry Potter.
Anche senza scuole di stregoneria, la nostra vita quotidiana è impregnata di narrazione e prende forma attraverso la narrazione. All’interno della relazione educativa la narrazione diventa anche dispositivo della progettazione pedagogica attraverso le storie che ne sono l’oggetto.
Ma cosa si intende per narrazione? C’è differenza tra narrare e raccontare? Quali sono le potenzialità della narrazione nel lavoro educativo?
Procediamo con ordine.
Indice
La differenza tra storia, racconto e narrazione
- Il termine storia implica necessariamente l’esistenza di un elemento, reale o immaginario, che è origine e fulcro della storia stessa e ne comprende il tema, l’oggetto.
- Parlare di racconto significa invece fare riferimento alle modalità con cui la storia viene mostrata. Comprende tutti i mezzi espressivi e di comunicazione, oltre all’esposizione orale e alla scrittura.
- La narrazione, invece, è l’atto del raccontare, che coinvolge almeno due interlocutori inseriti all’interno di una relazione significativa. Questa relazione rende possibile la narrazione, ma allo stesso tempo viene modificata, arricchita, potenziata, alimentata e problematizzata dalla narrazione stessa.
Caratteristiche della narrazione
Individuazione di significati
La narrazione apre a diverse possibilità di significati. Non dà descrizioni oggettive e univoche della realtà, ma fornisce prospettive interpretative e possibili chiavi di lettura.
Pluralità di prospettive
La narrazione mette in gioco tanti punti di vista quanti sono i soggetti in essa coinvolti. Questo consente di vedere il mondo attraverso numerose prospettive interpretative contemporaneamente e introduce, di volta in volta, nuove chiavi di lettura.
Soggettivizzazione dell’esperienza
Come evidenziato dallo psicologo statunitense Jerome Bruner, una delle principali caratteristiche della narrazione è la soggettivizzazione dell’esperienza. Ognuno porta con sé rappresentazioni autobiografiche, che fanno riferimento al proprio contesto culturale e sociale. La narrazione è pertanto rielaborata e filtrata da un particolare punto di vista: quello della voce narrante.
Violazione della canonicità
Con questa espressione Bruner si riferisce al fatto che la nostra narrazione, per un certo periodo, si sviluppa seguendo uno schema lineare e prevedibile. Ma a un certo punto, introduciamo modifiche o addirittura veri e propri cambi di direzione. Questo può avvenire a causa di particolari esperienze di vita che hanno modificato il nostro modo di vedere le cose. Ma nella maggior parte delle occasioni la svolta avviene per l’incontro con altre narrazioni.
Come si inserisce la narrazione nel lavoro educativo
Il potenziale formativo e accrescitivo della narrazione scaturisce dall’incontro tra narrazioni, oltre che dalle esperienze di vita, all’interno di una relazione educativa significativa.
Il lavoro educativo di per sè è funzionale solo se inserito in una relazione significativa ed ha strettamente a che fare con la narrazione di storie e vissuti. Il punto di vista dell’utente e quello dell’educatore si intrecciano rendendo possibile una nuova storia condivisa, che va pian piano a crearsi durante il percorso.
L’obiettivo educativo è quello di costruire, attraverso una narrazione intenzionale, un punto di vista differente, generatore di cambiamenti e di possibilità nuove per l’utente stesso.
Perché narrare con gli utenti?
Il pensiero narrativo permette di rievocare e ricostruire l’esperienza, mettendola in relazione con gli eventi passati e con le possibilità future, attraverso i vissuti dei protagonisti.
È una pratica a cui ricorriamo tutti nella vita quotidiana. E quando succede abbiamo bisogno di qualcuno che ascolti, per poi restituirci la nostra storia, narrandocela di nuovo, ma da un punto di vista differente.
Nel lavoro educativo essa svolge due funzioni fondamentali.
Narrare per formare ed educare
La narrazione innesca processi di comprensione, elaborazione, interpretazione, rievocazione attraverso i quali fatti ed eventi vengono:
- collocati in una trama spazio-temporale
- raccontati ad altri soggetti
- spiegati, tenendo conto di contesti, intenzioni e aspettative
- dotati di un significato culturale e contestuale
- utilizzati per progettare azioni e comportamenti ad essi adeguati
L’educazione, intesa come attività di trasmissione di valori, di conoscenze, di comportamenti, si serve della narrazione come strumento privilegiato. Quindi, raccontare educa.
La narrazione permette inoltre la formazione di una storia educativa che riguarda il percorso costruito insieme, ma coinvolge storie già esistenti, quelle dell’utente e dell’educatore, con particolare attenzione a provocare in esse un cambiamento ed una crescita.
La narrazione come dispositivo di lavoro pedagogico
In questa prospettiva la narrazione si configura come importante dispositivo di progettualità poiché consente:
- di inscrivere in un continuum le esperienze presenti, passate e future
- di conferire direzione e senso al continuum esperienziale
- di individuare e dare significato ad eventuali fratture e incongruenze
- di comprendere e raccontare le proprie esperienze, progettandone di nuove sulla base di quelle passate
- di progettare e progettarsi sul piano personale e professionale
Nell’ambito dei contesti formativi la narrazione rappresenta quindi un importante dispositivo di lavoro pedagogico. Essa permette infatti una profonda ricerca di senso e significato rispetto alla propria storia e alla propria identità personale e culturale. Consente quindi di analizzare, rielaborare, comprendere le esperienze, mettendole in relazione di continuità con quelle passate e future. Permette inoltre di considerare intenzioni, aspettative, motivazioni, emozioni di tutti i soggetti implicati in un’esperienza e allo stesso tempo tiene conto di obiettivi e scopi alla base delle azioni educative.
Cosa narra l’educatore?
Ricordo Saverio (nome di fantasia), bambino di 8 anni con cui lavoravo in contesto domiciliare. Durante un episodio di rabbia e aggressività apparentemente immotivate, ho provato a “fargli da specchio”, raccontando ciò che avevo visto. Saverio si è bloccato e mi ha guardato con gli occhi sgranati. Poi si è rilassato e abbiamo parlato dell’accaduto, di cosa l’avesse portato ad agire in quel modo e di cosa si potesse fare per esprimere alcune emozioni in modo più costruttivo. Ha concluso dicendomi: “Io così capisco le cose”.
Qualcosa di simile accade con Corrado (altro nome di fantasia), che riversa nell’ambiente scolastico tutte le frustrazioni e le difficoltà legate alla propria situazione familiare. Ci conosciamo ormai da qualche anno, quindi conosco il suo bisogno di essere accolto e accompagnato nella gestione di quelle emozioni che, tutte insieme, risultano per lui irriconoscibili e incontrollabili. Più volte con lui mi sono ritrovata a fare discorsi di questo tipo: “Io vedo che c’è qualcosa che non va. Credo sia accaduto qualcosa che ti fa stare male, anche se stai ridendo. Stai lanciando gli oggetti, facendo rumore e rischiando di fare male alle persone. Un pochino ti conosco e so che quando stai bene e sei sereno ti comporti in modo diverso. Mi sembra che tu stia cercando di dirmi qualcosa, ma io non riesco a capire cosa. Devi provare ad usare le parole per aiutarmi. Non so se sarò capace di risolvere il problema, ma almeno possiamo cercare insieme una soluzione”. In genere da questo punto Corrado si scioglie come un ghiacciolo, si calma e mi racconta dell’ennesimo cambiamento che non riesce proprio a digerire.
Inserito all’interno di una relazione educativa significativa, l’impianto narrativo consente contemporaneamente di meravigliare, spiazzare e contenere, per dare una forma, almeno momentanea, agli eventi e alle situazioni.
Capacità fondamentale dell’educatore, strettamente connessa alla narrazione, è quella di ascoltare, con l’obiettivo di “vedere” le storie implicate nell’azione educativa. Può pertanto restituire all’utente la sua storia, rielaborata ed arricchita di interpretazioni e significati.
L’educatore interagisce con tutti i membri del nucleo familiare. In tale contesto non si pone come precettore o prescrittore. Il ruolo di narratore gli permette di “presentare” ai genitori i loro stessi figli in una luce diversa, mostrando in modo più oggettivo le criticità esistenti, ma soprattutto le capacità e le potenzialità su cui investire e lavorare.
Narrare il lavoro dell’educatore
Non solo si racconta per educare. L’educazione stessa deve essere raccontata. Il lavoro educativo, infatti, spesso invisibile e difficile da mostrare, può essere reso conoscibile anche a soggetti esterni, attraverso la narrazione.
In questa prospettiva l’educatore utilizza la narrazione come “organizzatore mentale” per pensare, ragionare, risignificare l’esperienza. In questo modo può metterla in connessione con altre esperienze narrate e renderla visibile a se stesso e agli altri. Nell’assolvere questo compito è importante considerare e sottolineare tre aspetti:
- il contesto, l’ambiente in cui ha luogo l’azione educativa che è oggetto della narrazione
- le strategie utilizzate
- le emozioni sperimentate dal narratore
Riconoscere le storie, vederle e saperle raccontare sono competenze fondamentali dell’educatore. Solo così può testimoniare, narrandolo, il proprio lavoro, per dare legittimità alla pratica educativa, renderla conoscibile e tangibile.
Attraverso la narrazione sarà inoltre possibile agire riflessione e significazione sull’azione educativa, pensata come una storia in continua costruzione ed evoluzione.
Quanto è importante narrare l’educare? Rispondo con le parole di mio papà, quando gli ho parlato della nascita di questo blog: “Era ora! Finalmente si capisce cosa fate!”.
E voi? Qual è il vostro rapporto con la narrazione? In che modo la utilizzate nella pratica educativa? Avete un diario? Raccontateci le vostre opinioni nei commenti.
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